Precedenti penali ormai datati: niente ‘permesso di soggiorno’ per lo straniero sposato con una italiana
Lampante, nel caso specifico, la pericolosità concreta, attuale e notevole, dello straniero, in quanto gravato da plurime condanne passate in giudicato per reati di particolare allarme sociale, commessi in una condizione personale di dipendenza da stupefacenti ed in un arco temporale ampio
Niente ‘permesso di soggiorno’ allo straniero, se, pur essendo regolarmente sposato con una cittadina italiana, vanta come criminale un curriculum vitae di spessore.
Questa l’ottica adottata dai giudici (ordinanza numero 31031 del 27 novembre 2025 della Cassazione) a chiusura del contenzioso relativo alla posizione di un uomo, originario dell’Albania, presente sul territorio italiano da oltre trent’anni e pure sposato con una cittadina italiana.
Nonostante questi dettagli, però, gli viene negato il rinnovo del ‘permesso di soggiorno’ connesso a motivi familiari. Ciò alla luce della sua accertata, secondo la Questura, pericolosità sociale. Consequenziale, ovviamente, il decreto di espulsione emesso dalla Prefettura.
A sorpresa, però, i giudici del Tribunale, a fronte delle obiezioni sollevate dallo straniero e dalla moglie, accertano il diritto dell’uomo al rilascio del ‘permesso di soggiorno’ per motivi familiari.
Centrale in questa decisione è la valutazione di non comprovata attuale pericolosità dello straniero, non avendo egli più commesso reati per un lungo lasso temporale ed avendo al contrario dato prova di aver preso seriamente le distanze dalle pregresse opzioni delittuose.
A contestare questo provvedimento è il Ministero dell’Interno, sostenendo la tesi della pericolosità sociale dello straniero, tesi accolta dai giudici d’Appello, per i quali, quindi, non vi sono i presupposti per riconoscere al cittadino albanese il diritto al rilascio del ‘permesso di soggiorno’ per motivi familiari.
Sintetico ma chiaro il quadro tracciato in secondo grado: lo straniero risiede da oltre trent’anni sul territorio italiano; inizialmente ha goduto di ‘permessi di soggiorno’ per motivi di lavoro, almeno sino al 2009; poi, divenuto tossicodipendente, ha iniziato a delinquere, come certificato dalle condanne a suo carico nel 2007, nel 2010, nel 2011, nel 2013 e nel 2014, prevalentemente per illeciti relativi allo spaccio ed alla detenzione di sostanze stupefacenti, con una pena detentiva complessiva di quasi dodici anni di reclusione, scontata prima in regime di detenzione carceraria – fino al 2017 – e poi in regime alternativo alla detenzione mediante affidamento in prova ai ‘Servizi sociali’ – fino all’agosto del 2020 –.
A fronte di tali elementi, poi, i giudici d’Appello sottolineano che lo straniero è dedito ad attività illecite sino dai primi anni del 2000 – come da lui stesso dichiarato – e aggiungono che si deve dare particolare rilievo – nella formulazione del giudizio di pericolosità ancorato doverosamente alla situazione attuale – al fatto che i reati commessi erano prevalentemente mirati a procacciarsi illecite fonti di sostentamento, eccezion fatta per una condotta di guida in stato di alterazione per uso di sostanze stupefacenti.
Per i giudici d’Appello non ci sono dubbi: i precedenti penali dello straniero sono obiettivamente gravi: la sua attività criminosa si è concentrata negli anni 2000-2013, a cui è seguito un lungo periodo di detenzione carceraria. Perciò, non può darsi risalto all’astensione negli ultimi anni, da parte dello straniero, dalla commissione di ulteriori reati, in quanto evidentemente concomitante alla forzata restrizione in carcere per quasi dodici anni, prima in regime detentivo, poi in regime alternativo alla detenzione mediante affidamento in prova ai ‘Servizi Sociali’.
A completare il quadro, infine, la constatazione che lo straniero ha dichiarato di svolgere attività lavorativa ‘in nero’, circostanza, questa, confermata anche dalla moglie, la quale, a sua volta, ha riferito di lavorare ma non ha depositato alcuna documentazione (‘buste paga’ o dichiarazione di redditi) utile a consentire di valutare come la coppia possa provvedere al proprio mantenimento. Di conseguenza, sono legittimi, secondo i giudici d’Appello, i dubbi su come lo straniero possa lecitamente far fronte alle spese necessarie per la sussistenza propria e della famiglia.
Impossibile, poi, sempre secondo i giudici d’Appello, catalogare lo straniero come persona integrata socialmente, avendo egli prodotto documentazione (relazioni dei ‘Servizi Sociali’ al Magistrato di sorveglianza, relazioni del ‘Servizio per le dipendenze patologiche’, attestato di frequenza di vari laboratori letterari, musicali e teatrali, tutti svolti durante il periodo di detenzione) non idonea a certificarne la fattiva volontà, nell’attualità, di integrarsi nel tessuto sociale dell’Italia.
Tirando le somme, i precedenti penali, che destano allarme sociale, e la reiterazione delle condotte penalmente rilevanti portano a ritenere lo straniero soggetto pericoloso socialmente, non potendosi escludere, per la gravità dei reati commessi, che lo straniero possa ancor oggi ragionevolmente attingere a fonti di guadagno illecite, chiosano i giudici d’Appello.
Col ricorso in Cassazione, però, il legale che difende lo straniero sostiene sia stata compiuta in Appello una erronea valutazione di pericolosità del suo cliente, in quanto non conforme a quella richiesta dalla normativa ai fini del diniego del titolo di soggiorno, da un lato, e dell’allontanamento nei confronti del coniuge convivente di cittadino italiano, dall’altro.
Questa obiezione non convince però i giudici di terzo grado, nonostante non sia più prevista in caso di richiesta di rilascio del ‘permesso di soggiorno’ per motivi di coesione familiare, l’applicabilità del meccanismo di automatismo espulsivo, in precedenza vigente, che scattava in virtù della sola condanna dello straniero per i reati identificati dalla norma, sulla base di una valutazione di pericolosità sociale effettuata ex ante in via legislativa, occorrendo, invece, per il diniego, oggi, la formulazione di un giudizio di pericolosità sociale effettuato in concreto e che induca a concludere che lo straniero rappresenti una minaccia concreta ed attuale per l’ordine pubblico e la sicurezza, tale da rendere recessiva la valutazione degli ulteriori elementi contenuti nella norma, cioè natura, effettività e durata dei vincoli familiari dello straniero, esistenza di legami familiari e sociali con il Paese d’origine e, per lo straniero già presente nel territorio nazionale, durata del soggiorno pregresso.
Ragionando nell’ottica della pericolosità sociale, intesa come pericolosità non solo per l’ordine pubblico, ma anche solo per la sicurezza pubblica, nella vicenda riguardante il cittadino albanese è lampante una sua pericolosità concreta, attuale e notevole, essendo egli gravato da plurime condanne passate in giudicato per reati di particolare allarme sociale, commessi, in una condizione personale di dipendenza da stupefacenti, ed in un arco temporale ampio. Logico, quindi, ritenere che tali condotte rappresentino un indice rilevatore di pericolosità dello straniero per l’ordine, la salute e la sicurezza pubblica, anche tenuto conto delle recidive, sanciscono i giudici di Cassazione. E correttamente non si può dare rilievo al tempo decorso dalla commissione dei reati, in quanto è stato prevalentemente trascorso in espiazione di pena o durante la misura alternativa.
Tirando le somme, è corretta la valutazione della personalità dello straniero, valutazione che ha condotto a negargli il ‘permesso di soggiorno’, nonostante il matrimonio con una cittadina italiana, a fronte di una condotta di vita inequivocabile che lo rende effettivamente una minaccia concreta ed attuale per l’ordine pubblico e la sicurezza, tale da rendere recessiva la valutazione di elementi quali la natura e la durata dei vincoli familiari, chiosano i giudici di Cassazione.